domenica 12 giugno 2011

Hibernate Recording present: Stephan Mathieu, BJ Nielsen Simon Scott and more…


Kraak Gallery, Manchester 07 Maggio
La Kraak Gallery, situata nel rinato Northern Quarter Mancuniano, è una realtà che si sta imponendo sulla scena cittadina per l’estrema poliedricità nella scelta degli eventi musicali e non solo, legata a una politica di accessibilità a costi contenuti degli eventi e a un’idea di collaborazione tra artisti, cercando di infondere la personalità degli stessi nello spazio d’azione. Questo è stato anche il leitmotiv dello showcase della Hibernate Recording, micro etichetta indipendente nata nel 2009 e di base a Hebden Bridge nel West Yorkshire con all’attivo una trentina di uscite discografiche tutte in tiratura limitata,  il tutto accompagnato da alcuni ospiti d’eccezione che chiuderanno la lunga giornata. Ma partiamo con ordine dal primo degli artisti dell’etichetta: Talvihorrors, progetto del londinese Ben Chatwin attivo dal 2008, ci accompagna in territori ambient con l’utilizzo di chitarra e pedali per effetti con un suono stratificato che crea un collage sonoro a volte melodico e a volte con connotazioni dark mai banali, ma che non riesce ad andare al di là del già sentito. Qualche minuto di attesa per dare la possibilità del cambio set, cosa che purtroppo ci accompagnerà durante tutto l’evento causando un certo imbarazzo anche da parte degli artisti che devono fare il check di fronte al pubblico con evidenti problemi tecnici, ed ecco pronto Richard A. Ingram, già chitarrista degli Oceansize: mi risuonano ancora nella testa le note di quello splendido album che è stato “Consolamentum”  uscito nell’estate del 2010. Purtroppo, però, nel live non c’è quasi presenza di quelle splendide atmosfere chiaroscure,  il suono della chitarra è pressochè inesistente, il mood si avvicina di più a suoni di matrice Krautrock fatto di tastiere e sovrapposizioni di suono in uno spazio cosmico che lambisce i Tangerine Dream ai tempi di “Stratosfear”: un peccato per il sottoscritto che ha amato così tanto gli squarci di synth e le chitarre alla Fennesz dell’album sopracitato e che spera che questo non sia il nuovo corso dell’artista ( in questo momento è disponibile un tape licenziato dalla Hibernate e prossimamente in arrivo un full length per l’artista mancuniano). Si prosegue con Simon Scott, ma come detto precedentemente un problema tecnico farà slittare la sua esibizione e quindi mi prendo un attimo di pausa e mi perdo l’esibizione di David Horner aka Relmic Statute; il progetto, di base a Leeds, ha all’attivo una manciata di uscite su diverse labels con un suono fatto di granulose landscapes,  field recordings e tapes loop che ricordano molto un William Basinski di “Melancholia” fama. Rientro giusto in tempo per il live del progetto TSU (Robert Curgenven & Jorg Maria Zeger) tra chitarre in loop, giradischi e ventilatori (!!!);  il set si muove su un drone unico intervallato da screzi vinilitici e le pale dei ventilatori che creano un effetto tellurico di notevole impatto emotivo, ma che il duo non riesce a tenere in continuità dando un andamento ondivago che penalizzerà il live dandogli poco spessore emozionale. Risolti in parte i problemi tecnici (purtroppo alla fine il live verrà penalizzato della parte video) ecco finalmente Simon Scott, già chitarrista degli Slowdive e che vanta inoltre collaborazioni con Brian Eno, Machinefabriek ed Emmanuele Errante; per l’occasione presenta un suo nuovo lavoro sulla base di registrazioni ambientali marine facendoci solcare acque cristalline, mari in tempesta e momenti di bonaccia nella speranza di scorgere terra in un viaggio tra onde che si frangono contro la chiglia della nave facendola scricchiolare, notti di cieli stellati, stridii di gabbiani e rendendo la sua proposta musicale minacciosa anche nel momento in cui si tocca una terra sferzata da venti drone in un paesagggio monolitico: ottimo!!! Siamo quasi in chiusura di questa lunga giornata e mancano all’appello solo Bj Nielsen; purtroppo si verificano altri problemi tecnici: un bug sembra abbia colpito il suo laptop al momento del check e dopo appena cinque minuti dall’inizio dell’esibizione, in un momento di rabbia forse un tantino eccessiva, decide di staccare tutto, lanciare la scheda audio contro il muro (sigh!!!) salvando almeno il powerbook forse troppo costoso da riacquistare!!!  e andarsene imprecando. Peccato,  perchè da come era partito si poteva intuire qualcosa di veramente interessante!!! Dopo un momento di stupore da parte di tutti, Stephen Mathieu decide di preparare il suo set fatto di Radio Fm, Laptop e con la struttura interna di un Dolmetsch  a cinque corde suonate con dei sensori piezoelettrici; artista che interpreta la sua musica con un lavoro nel campo dell’elettroacustica e del digitale astratto, il suo suono è basato sull’uso di strumenti antichi, suoni ambientali e mezzi di comunicazione obsoleti che vengono registrati e trasformati per mezzo di microfonia sperimentale e processi che coinvolgono l’analisi spettrale paragonando la sua musica alla pittura di Caspar David Friedrich. Il set è di una delicatezza e una sensibilità che ti riappacifica con il mondo intero, vive di momenti intensi e introspettivi di rara bellezza dove tutta la bravura del nostro, nel cercare il giusto equilibrio tra suoni antichi e processing digitale, trasportano il pubblico in una dimensione di “outer space” anche nei momenti più monolitici, dove il susseguirsi delle note dilatate nel tempo infinito creano un’atmosfera avvolgente e calda fatta di strati su strati di dettagli essenziali che fuoriescono dall’uso dello strumento a corde usato con sapiente e delicatissima maestria;  un’ ovazione da parte del pubblico è la giusta chiusura del live e anche di questa lunghissima giornata che, tirando le conclusioni, fa un po’ il punto dello stato dell’arte della musica elettronica ambient e la verità è che, a parte il live di Stephen Mathieu, in questo momento non si vede all’orizzonte un qualcosa che faccia ben sperare in un’evoluzione del suono, oramai quasi avvolto su se stesso… (Blow Up - Giugno 2011)

Skullflower + Werewolf Jerusalem


Kraak Gallery – Manchester 16 Aprile
Raramente serate noise-rock riescono a raggiungere un livello così alto di rapimento e di ebbrezza come quella che si è tenuta alla Kraak Gallery lo scorso 16 aprile.Sul palco una delle figure chiave della scena noise-industrial britannica: Matthew Bowen e i suoi Skullflower si presentano con una formazione prettamente rock: basso, chitarra, batteria e voce (leggi urli…).

Da subito abbiamo tutti la certezza che i rimanenti trenta minuti saranno un viaggio nella notte più oscura dove il drumming primitivo, la chitarra con i suoi feedback e la voce, un lamento che naufraga in un magma drone –noise monolitico, resteranno impressi come una delle rappresentazioni più cruente della vita quotidiana, dove la velocità di esecuzione e l’alienazione rumoristicalasciano poco spazio a immaginari diversi da quelli di ossessioni, morte e devianza. È un live-esperienza dove o prendi o lasci, non ci sono vie di mezzo, non ci sono pause o un tentativo della band di avere un qualche rapporto “umano” con gli spettatori (Matthew e la vocalist sempre di spalle); le due suite si susseguono tra inquietudini alienanti saturando l’ambiente di un suono metallico che ti fa precipitare tra le fiamme di un inferno quasi estatico, ma non c’è tempo per ripensamenti perchè nel massimo momento di catarsi sonora tutto si spegne, Matthew stacca il jack dalla chitarra e tu rimani senza parole, senza la forza di applaudire, sconcertato da questo viaggio su una locomotiva che si schianta contro un muro: "Non c'è belva tanto feroce che non abbia un briciolo di pietà. Ma io non ne ho alcuna, quindi non sono una belva."(William Shakespare). Riprendiamo possesso delle nostre facoltà mentali ed ecco apparire Richard Ramirez e la sua creatura Werewolf Jerusalem; anche qua il discorso potrebbe essere uguale con l’unica differenza che il nostro aggiunge al suo live una matrice più dark-doom con delle texture decisamente più statiche dove però l’unico brano proposto da Richard si rivela essere un collage delle svariate sfaccettaure dei suoi modi espressivi (Ramirez, l’uomo dai mille moniker: Black Leather Jesus, Last Rape, Vice Wears Black Hose, Lingula, Priest in Shit…) harsh dalle frequenze ultrabasse, frattura del suono, ondate black metal, in una sorta di necrologio finale del genere umano trasmesso alle generazioni future, il tutto utilizzando solo loop a pedali ed effetti per chitarra per dare questa sensazione di essere sotto un bombardamento, e mentre senti il fischio delle bombe che cadono…speri che la prossima non sia quella che ti colpirà…Forse l’unica critica a questa serata è la brevita dei due live (trenta minuti ciascuno) vista la sterminata produzione sia di Werewolf Jerusalem che degli Skullflower: lasciano quel gusto di incompiuto, quasi di oblio, dove non c’è una rotta da seguire, ognuno di noi abbandonato al suo destino e ai suoi incubi…Goodnight.
(Blow Up - Giugno 2011)