sabato 10 dicembre 2011

Agnes Obel


Ruby Lounge – Manchester 09 Novembre
Torna a fare tappa a Manchester, per la seconda volta in sei mesi, il tour di Agnes Obel, giovane cantautrice Danese di base a Berlino che con il suo album  di debutto “Philarmonics” ha ottenuto consensi in ogni angolo d’Europa, conquistando anche due dischi di platino nella sua terra d’origine. Non  siamo però qui a scrivere la sua biografia e i suoi successi di critica e pubblico, a ben vedere del tutto giusti data  la pochezza “vinilitica” in circolazione sul mercato in questi anni. La performance, purtroppo, si discosta leggermente dal disco nella dimensione live;

ok  il candore della nostra, accompagnata sul palco da una violoncellista e da un’arpista che contribuiscono anche alla voce evocando un paesaggio sonoro in cui il silenzio e lo spazio giocano con le luci del crepuscolo, ma alle volte tutto questo non basta: l’impressione è quella di un compito svolto bene, disturbato da qualche buontempone che invece di ascoltare chiacchiera animatamente con il suo amico (ebbene sì, ogni tanto succede anche qui in UK che qualcuno infastidisca durante i live, se pur molto raramente) tanto da essere invitato dalla Obel a lasciare la sala se non si zittiva… Andando oltre lo spiacevole accaduto, mi sembra di riscontrare un certo distacco dal suo pubblico; i brani dell’album vengono snocciolati ad uno ad uno, senza grandi arrangiamenti.

C’è sicuramente una maestria da parte del trio sotto il profilo tecnico: l’atmosfera evocativa della voce (vedi Tori Amos ed echi di Joanna Newsom) e l’utilizzo “minimale” del pianoforte; l’impronta di Eric Satie è la cosa che balza subito all’orecchio, però è la presenza scenica che manca, quella voglia di comunicare “oltre la musica” che rende l’artista “uno di noi”, quel di più che serve ad abbattere la barriera pubblico-platea. Questo è l’unico aspetto negativo del live della Obel, in qualche modo specchio anche della copertina del suo album di debutto dove lei appare come un maestro severo di una scuola religiosa uscita da un film di Ingmar Bergman.Restiamo in attesa del nuovo album che, dalle parole dell’artista, sembra più improntato verso un suono strumentale, visto che come lei stessa ammette le è più difficile scrivere i testi.
(Mauro Cullati)

Baby Dee


Anthony Burgess Foundation – Manchester 01 Novembre
Cantante, performer e polistrumentista: si potrebbe continuare a lungo con gli aggettivi per descrivere Baby Dee. Transgender istrionica, si presenta sul palco della Burgess Foundation avvolta in una giacca di finto pelo fucsia e anche se l’abito non fa il monaco, il look mette in evidenza il suo carattere forte, da vero “animale da palcoscenico”.

Siamo in pochi, troppo pochi, ma forse è anche un bene: nell’atmosfera raccolta di questa piccola e intima sala, il contatto diretto con la chansonniere di Cleveland, sin dall’apertura con “Brother Slug And Sister Snail”, apre squarci nell’anima; segue “On The Day I Died”, un brano  con la presenza costante della morte ma anche del suo background di artista di strada e di organista per la Chiesa della sua città natale, con un utilizzo della voce unico nel suo genere, esaltata ed accompagnata al trombone da Doug Tielli, musicista canadese che ha aperto la serata con un live di “bedroom songs” tenere e avvolgenti; benchè sia stata molte, troppe volte accostata ad Anthony Hegarty,  qui siamo su un  gradino superiore dove la tristezza e la gioia si mescolano in un crescendo misto di ironia e rabbia ben rappresentato in “Pie Song”,  con un finale quasi rock e i suoi guizzi vocali a dimostrare come possa, attraverso un sapiente uso del solo pianoforte, riuscire a mettere al nostro servizio la sua personalità debordante ma mai invadente. Parla di amori infranti e amori ri-trovati, la voce come un raggio di luce che attraversa la tempesta. Questo è il suo-nostro mondo, quel senso di tenerezza e fragilità umana in cui sono immerse le nostre vite ma anche di voglia di redenzione, di rabbia mai sopita nei confronti di un’esistenza difficile a farsi accettare.

E poi di nuovo l’amore in “Morning Holds A Star”( No more sad songs/ no more/no more night skies/I’ ve got a sunrise/a sunrise/a sunrise/I’ve got a sunrise…), in “Lilacs”, gli amici ritrovati e la speranza di non perderli mai più. Siamo già ai bis (ma se il live sembra appena iniziato??) con “ The Dance Of Diminishing Possibilities”, la bluesy “Fresh Out Of Candle”  e “ Safe Inside The Day” (la stavo aspettando sin dall’inizio!!) che suggellano il legame con quest’ artista che attraverso il suo cantare-parlare, in tutta la sua drammaturgia, riesce a farci sentire una piccola famiglia senza mai dimenticare quanto sia importante, alla fine, saper trovare il lato positivo di tutte le cose e di quanto sia importante cercare nella vita, attraverso le più disparate esperienze, sognare un futuro migliore. Nota a margine: per chi volesse conoscere la poesia di Baby Dee, è appena uscito su Tin Angel Records il doppio live registrato al “The Bimhuis”,prestigioso Club jazz di Amsterdam.
 (Blow Up - Dicembre '11)

giovedì 10 novembre 2011

Plaid


Sound Control – Manchester, 4 Ottobre
Approda per il Tour promozionale del loro ultimo lavoro “Scintilli”, uscito su Warp il 27 Settembre, il duo Londinese dei Plaid assente dal 2003 con un cd di nuove tracce  (se si escludono le due colonne sonore per “Tekkon Kinkreet” e “ Heaven’s Door” del regista Michaels Aria e “Greedy Baby”, che era stata un’audio/visual collaborazione) .Davvero un’ottima opportunità, quindi, vederli all’opera sul palco del Sound Control.

L’impatto è subito positivo, i brani si lasciano cogliere senza troppe difficoltà e benchè non manchino gli arrangiamenti presenti su supporto fisico, Andy e Ed riescono a costruire un soundscape tra Ambient, Techno, echi Drum ‘n’ Bass e una dose importante di suoni dal mondo, il gamelan su tutti, dando un senso di compostezza alla ritmica irregolare che è sempre stato il segno distintivo del duo. Non mancano momenti, soprattutto nella parte centrale del live, in cui la mente torna indietro nel tempo a quando i due militavano nella premiata ditta “The Black Dog” con quel sapiente uso del beat che ancora oggi fa pensare all’ IDM di miglior caratura, con momenti di dolcezza infinita e repentini cambi d’umore, deragliamenti break beat e pulsioni techno, riuscendo sempre a suonare attuali a differenza di altri producer inglesi che finiscono per risultare datati. Unica pecca di un live che, a conti fatti, strappa ovazioni dal pubblico, è la parte video: le immagini sono infatti quasi totalmente “coperte” dalla postazione del duo, un vero peccato data la loro elevata qualità che avrebbe completato e appagato visivamente il viaggio sonoro.
(Blow Up - Novembre '11)

Cindytalk


Blah Blah – Torino, 23 Settembre
La creatura di Gordon Sharp, nel bene e nel male, ha saputo resistere per oltre 30 anni nel vasto panorama Goth-Dark che, a più riprese, si è ripresentato sotto mille forme e manifestazioni. Cindytalk, nel corso di tutti questi anni, non è mai stata di seminale importanza (tralasciando “Camouflage Heart” e “The Crackle Of My Soul” a modesto parere di chi scrive) ma con la sua figura carismatica e camaleontica ha catalizzato l’attenzione sul palco del Blah Blah all’interno della rassegna “Il  Sacro attraverso il Profano”. Il live poco aggiunge musicalmente all’enorme quantità di artisti che solcano mari tra onde sinusoidali,  field recording e “concretismi” vari,  ma la vera differenza la fa lui/lei sola sul palco a combattere contro i fantasmi dell’anima, dell’essere e sentirsi al limite estremo di un mondo che, attraverso luoghi comuni, sempre meno accetta differenze, il tutto attraverso una poesia “dannata” che è alla base della ricerca di questi ultimi anni da parte di Gordon Sharp. È questa l’impressione che si ha assistendo al live in cui, attraverso una deriva drone con onde di suono che si infrangono sulla  voce di Gordon, si prova un senso di spaesamento e di non luogo, un mondo alla deriva da se stesso dove non c’è ombra di speranza e redenzione da peccati che, forse, non si sono mai commessi. La liricità e la figura carismatica di Gordon Sharp fanno il resto, tra voci di bambini, screzi industrial e atmosfere claustrofobiche che si scontrano con la voce-sussurro di Sharp, di una profondità indefinibile: ci lasciamo trascinare senza meta e senza controllo fino alla genesi di questo live/evento con un immenso occhio che, proiettato sullo schermo, ci scruta senza battere ciglio, immobile, con Gordon che si volta e si inchina aprendo le braccia e concedendosi al giudizio di qualcosa di più grande di questa miserabile vita…
 I brani inseriti nel live fanno parte dell’ultimo lavoro di Cindytalk “Hold Everything Dear” uscito per la Edition Mego; l’album inoltre è dedicato a Matt Kinnison,  amico di lunga data e collaboratore di Gordon Sharp.
(Blow Up - Novembre '11)

lunedì 10 ottobre 2011

FON – Full Of Noise Festival


Barrow-in-Furness - Cumbria 05/06 Agosto
Durante il periodo estivo l’Inghilterra diventa terra di festivals, alcuni di essi a dire la verità sono più dei grandiosi luna park dove tutto attira l’attenzione tranne che la musica. È per questo motivo che dirigo il mio sguardo in questo paese all’estrema periferia nella regione della Cumbria, dove immerso in un’atmosfera molto “familiare” riesco a ritrovare quel calore e quella passione che non finiscono alla conclusione dell’act degli artisti. Ma andiamo con ordine: nella serata del venerdì presso il Bluebird, pub che sembra uscito da un film di Ken Loach, con tanto di odore di birra versata sulla moquette, arrivo giusto in tempo per l’esibizione di Anchorsong aka Masaaki Yoshida, giapponese di base a Londra dal 2004, che con l’uso di una tastiera e di un sampler (MPS2500) riesce, attraverso la sua vibrante energia, a regalarci un set dove lo scontro tra Hip-Hop, Elettronica e Nu Jazz si integrano con il beat catalizzando l’attenzione di un pubblico fino a questo punto un po’ distratto. Subito dopo è la volta di Dopplereffekt, motivo della mia venuta al FON; 

Gerald Donald e Michaela To Nhan Le Thi, completamente vestiti di nero e con maschera sul volto, conducono un set dove l’aspetto umano viene completamente messo da parte, l’ossessione per la ricerca scientifica ben rappresentata anche dai visual, creano un’ atmosfera glaciale ancora più marcata dall’assenza di comunicatività del duo che attraverso un suono che può ricordare a tratti la scuola kraut-rock, Kraftwerk in primis, riesce a distaccarsi da facili paragoni in virtù della predilezione per un aspetto più free-form con delle virate ambient che riportano il tutto a un aspetto più umano e “terrestre”. Se ci fosse bisogno di dare un voto all’esibizione questo sarebbe più che positivo, avvalorato ancora di più dal fatto che il progetto sembra abbia deciso di concedersi di più al suo pubblico, visto che sono in programma altre apparizioni in giro per l’Europa. Qualche minuto di pausa e la serata prende una svolta decisamente più dance con le esibizioni di Boxcutter aka Barry Lynn  e Lone aka Matt Cutler, che attraverso un sapiente uso di beat  riescono a creare un’ambient calda e piacevole riportandoci indietro agli anni 90 tra breakbeat techno e gradevoli ricordi in 808 State style. Il secondo giorno ci concediamo il pomeriggio a spasso per il Barrow Park tra installazioni sonore, un campo da minigolf dove a ogni buca corrisponde un suono creando così un piacevole caos tra i piccoli avventori, un Open Source SwanPedalo su cui sono montati un giradischi e un’antenna radio che, navigando sul lago artificiale, trasmette nell’etere una colonna sonora; il progetto è già stato utilizzato a Leeds e Liverpool per dei reading di poesie e un concerto acustico!! Nella serata ci spostiamo alla St John’s Church, ubicata nei docks e circondata da capannoni giganteschi dove vengono costruiti i sommergibili per la flotta navale di Sua Maestà la Regina, per assistere al tributo che AGF, Philip Jeck, Tetsuo Kogawa, Tom Scott e Lee Gamble renderanno alla città di Barrow, visto che gli organizzatori hanno chiesto agli artisti invitati di trasporre in musica la loro esperienza in città.

Si parte subito con un’ispirata AGF che con l’aiuto di quattro coriste prima e tre bambini poi , tra cui sua figlia, lascia poco spazio all’elettronica e dedica quattro suites al vento e al mare, attraverso il suono emesso soffiando dentro i microfoni, poi riprocessato sul finale della performance creando un effetto estatico di rara delicatezza. E’ poi la volta di Tom Scott,  giovane compositore locale che con un sottile gioco di forme astratte, tra silenzi e incursioni in territori drone, riesce a descrivere bene le contraddizioni della cittadina immersa nella verdissima Cumbria ma che si affaccia su una realtà fatta di acciaio e sudore. Un piccola pausa nel vicino circolo over 60’s per una birra locale e quattro chiacchiere con gli organizzatori e poi è la volta di Lee Gamble con una suite brevissima; destrutturando e usando i detriti del suono l’artista non convince più di tanto, forse anche lui se ne è accorto visto che alla fine del set se ne va senza lasciare traccia. Subito dopo è la volta di Philip Jeck,


artista che nel corso degli anni è sempre riuscito ad evolvere la sua ricerca senza mai porre un limite alla destrutturazione e ricomposizione del suono; in questo caso omaggia il festival di un live che parte da lontano: con l’utilizzo delle immagini e dei video che lui stesso ha registrato raggiungendo in treno Barrow proiettati sul soffitto della Chiesa nonché dei suoni, cui si aggiungono quelli di due vinili acquistati in un Charity Shop della città (immancabili sul tavolo due turntables) ha dato vita a una performance particolarmente ispirata di rara delicatezza e malinconia, ben supportata anche dall’utilizzo del basso che con  la sovrapposizione dei vari effetti sonori crea un sussurro melodico, strappando un’ovazione al pubblico in sala. Siamo in chiusura e, dopo una seconda pausa al pub, ci apprestiamo a seguire il live-performance dell’artista giapponese Tetsuo Kogawa: sua la campagna di liberalizzazione dell’Fm nella terra del Sol Levante che ha leggi molto restrittive in merito.


Attraverso l’utilizzo di due radio a transistor e di due microfoni costruiti on-site con cd e filo di rame alimentati da due batterie,  ha creato un soundscape fatto di screzi e frequenze mai fastidiose ma che hanno reso l’idea di libera trasmissione con tecniche casalinghe, che sono state anche la base delle radio pirata negli 80’s; più un manifesto di open source che un live vero e proprio, ha catalizzato l’attenzione del pubblico sul dopo performance con l’artista che spiegava la tecnica e l’idea alla base del suo progetto.  Come detto in apertura di articolo, un Festival che ha permesso di portare a tutti la conoscenza di suoni “altri” attraverso un approccio mai intellettualmente inavvicinabile, vedi I workshop con i bambini delle scuole elementari, ma con la voglia di fare incontrare persone con una colonna sonora di ottima qualità. Un grazie per la calorosa accoglienza a John Hall, curatore dell’evento.
(Blow Up - Ottobre '11)

Bjork performs “Biophilia” World Premiere


Campfield Market – Manchester 03 Luglio
Il tam tam mediatico che ha anticipato la serie di sei concerti che Bjork ha tenuto a Manchester, a battesimo del suo nuovo lavoro che uscirà a settembre mentre sono previsti live in altre otto città del mondo per un totale di tre anni di tour, ha portato gente da ogni dove curiosa di assistere alla nuova avventura del folletto islandese.Si è dimostrata un’ avventura ricca di novità soprattutto per quanto riguarda l’aspetto multimediale del live, definito dalla stessa Bjork come una celebrazione della natura unita a tecnologia e musica, il tutto interconnesso ad applicazioni per i-pad e i-phone che permetterà a tutti gli appassionati di creare le proprie versioni delle canzoni. Il live si è tenuto nella Vittoriana Market Hall con l’audience disposta tutta intorno al palco dove, sopra le nostre teste, campeggiavano sei immensi schermi; ai lati del palco una serie di strumenti appositamente ideati per questo nuovo progetto, dalle arpe a pendolo che con il loro oscillare attraverso la forza gravitazionale creano un suono celestiale, il “gameleste”, sorta di ibrido tra un organo a canne e il gamelan, il reactable, una tavola digitale su cui i blocchi sono spostati per creare suoni, e una bobina di Tesla che insieme alla voce preregistrata di David Attemborough aprirà lo spettacolo spiegando cosa è Biophilia. Da subito si ha l’impressione che il difficile equilibrio tra musica, immagini e voce sia leggermente sbilanciato verso un uso preponderante di quest’ultima che con l’aggiunta dell’ Icelandic Choir, parte oramai integrante del lavoro della Nostra, crea una sorta di storytelling che ci accompagnerà nel viaggio stupendo della vita tutta tra immagini di pianeti, fenomeni naturali, virus che aggrediscono il Dna, il tutto sovrastato dalla voce della ragazza Bjork che aggiunge un elemento ultraterreno allo spettacolo. La scaletta, che comprende buona parte dei brani che saranno inclusi nel nuovo lavoro, sorprende sopratutto per come, a differenza dei precedenti album, la musica non sia parte portante del tutto, ma semplicemente sussurrata, salvo in alcuni casi come nel singolo Crystalline che nella versione live enfatizza ancora di più il finale del brano con un inequivocabile rimando a suoni di Aphex Twin memoria. Impressiona soprattutto come nelle vecchie tracce, vedi Joga, All Is Full Of Love, resa magica dall’utilizzo delle giganti arpe-pendolo e in chiusura di live Declare Indipendence con un taglio “rave”, gli strumenti siano uno strumento di gioco. Il risultato è decisamente soddisfacente anche se, volendo cercare il pelo nell’uovo, si poteva bilanciare meglio l’uso della musica che a tratti risulta quasi inesistente, ma questo non toglie nulla alla genialità di Bjork che ancora una volta, nel bene e nel male e tra mille se e ma, resta una delle figure di spicco dell’avanguardia di questi ultimi vent’ anni, in attesa del 26 settembre, data di uscita dell’album anche come “app per i-pad”.
(Blow Up - Ottobre '11)

Demdike Stare


Digifest- Salford – Manchester 11 Giugno
Il duo mancuniano, il cui moniker fa riferimento a una strega del XVII secolo da cui forse nasce anche l’alchimia dei suoni, nato nel 2009 e formato da Miles Whitaker e Sean Canty, è acclamato per il triplo cd “Tryptych”; questa compilation di tre lp’s usciti nel 2010, in cui confluisce tutto il background del combo fatto di elettronica organica, influenze asiatiche e destrutturazioni dub estrapolate da vinili di ogni parte del globo, è ben supportato dal vivo da una parte visual che pesca a piene mani dai b-movies anni 70 della BBC e dal film di Jean Rollins “Le Viol Du Vampire”, creando un’atmosfera da fine del mondo fatta di mondi oscuri, serial killer e rituali pagani.

Le immagini, intersecandosi con la musica quasi priva di beat salvo alcuni sporadici momenti di accelerazione con i video debitamente mandati in loop, creano un effetto di angoscia perenne e riescono a catalizzare l’attenzione del poco, purtroppo, pubblico di casa. Attraverso una combinazione vincente di suoni con un forte accento industrial, soprattutto nella prima parte del live, ogni brano trascina l’audience attraverso diversi paesaggi sonori, gradualmente spostando i sensi tra calma apparente, paura ed erotismo, ma con un giusto equilibrio, senza formare uno stato emotivo unico durante tutta l’esibizione. Con un sapiente uso dei bassi riescono a creare quell’ipnotismo mentale che ti trascina sempre più dentro le immagini che scorrono sullo schermo attraverso un moto perpetuo astratto e, unito alle incursioni in territori jazz, rendono efficacemente quella dimensione “noir” che ci accompagnerà per tutto il corso dell’evento. Diventa davvero difficile, alla luce dei fatti, riuscire a catalogare la loro musica, ancora di più dopo il loro act così intriso di tutta quella cultura pagana di cui la terra d’Albione è stata portavoce nel corso degli anni passati e che oggi annovera tra le sue file dei nuovi alfieri. P. s.: chi capita dalle parti di Manchester, l’ultima domenica di tutti mesi a partire dalle 4pm, faccia un salto al Common Bar dove troverà i due “stregoni” a far girare i piatti per rendersi conto di quanto possa essere eclettica la loro selezione: ci vediamo lì!
(Blow Up - Ottobre '11)

domenica 12 giugno 2011

Hibernate Recording present: Stephan Mathieu, BJ Nielsen Simon Scott and more…


Kraak Gallery, Manchester 07 Maggio
La Kraak Gallery, situata nel rinato Northern Quarter Mancuniano, è una realtà che si sta imponendo sulla scena cittadina per l’estrema poliedricità nella scelta degli eventi musicali e non solo, legata a una politica di accessibilità a costi contenuti degli eventi e a un’idea di collaborazione tra artisti, cercando di infondere la personalità degli stessi nello spazio d’azione. Questo è stato anche il leitmotiv dello showcase della Hibernate Recording, micro etichetta indipendente nata nel 2009 e di base a Hebden Bridge nel West Yorkshire con all’attivo una trentina di uscite discografiche tutte in tiratura limitata,  il tutto accompagnato da alcuni ospiti d’eccezione che chiuderanno la lunga giornata. Ma partiamo con ordine dal primo degli artisti dell’etichetta: Talvihorrors, progetto del londinese Ben Chatwin attivo dal 2008, ci accompagna in territori ambient con l’utilizzo di chitarra e pedali per effetti con un suono stratificato che crea un collage sonoro a volte melodico e a volte con connotazioni dark mai banali, ma che non riesce ad andare al di là del già sentito. Qualche minuto di attesa per dare la possibilità del cambio set, cosa che purtroppo ci accompagnerà durante tutto l’evento causando un certo imbarazzo anche da parte degli artisti che devono fare il check di fronte al pubblico con evidenti problemi tecnici, ed ecco pronto Richard A. Ingram, già chitarrista degli Oceansize: mi risuonano ancora nella testa le note di quello splendido album che è stato “Consolamentum”  uscito nell’estate del 2010. Purtroppo, però, nel live non c’è quasi presenza di quelle splendide atmosfere chiaroscure,  il suono della chitarra è pressochè inesistente, il mood si avvicina di più a suoni di matrice Krautrock fatto di tastiere e sovrapposizioni di suono in uno spazio cosmico che lambisce i Tangerine Dream ai tempi di “Stratosfear”: un peccato per il sottoscritto che ha amato così tanto gli squarci di synth e le chitarre alla Fennesz dell’album sopracitato e che spera che questo non sia il nuovo corso dell’artista ( in questo momento è disponibile un tape licenziato dalla Hibernate e prossimamente in arrivo un full length per l’artista mancuniano). Si prosegue con Simon Scott, ma come detto precedentemente un problema tecnico farà slittare la sua esibizione e quindi mi prendo un attimo di pausa e mi perdo l’esibizione di David Horner aka Relmic Statute; il progetto, di base a Leeds, ha all’attivo una manciata di uscite su diverse labels con un suono fatto di granulose landscapes,  field recordings e tapes loop che ricordano molto un William Basinski di “Melancholia” fama. Rientro giusto in tempo per il live del progetto TSU (Robert Curgenven & Jorg Maria Zeger) tra chitarre in loop, giradischi e ventilatori (!!!);  il set si muove su un drone unico intervallato da screzi vinilitici e le pale dei ventilatori che creano un effetto tellurico di notevole impatto emotivo, ma che il duo non riesce a tenere in continuità dando un andamento ondivago che penalizzerà il live dandogli poco spessore emozionale. Risolti in parte i problemi tecnici (purtroppo alla fine il live verrà penalizzato della parte video) ecco finalmente Simon Scott, già chitarrista degli Slowdive e che vanta inoltre collaborazioni con Brian Eno, Machinefabriek ed Emmanuele Errante; per l’occasione presenta un suo nuovo lavoro sulla base di registrazioni ambientali marine facendoci solcare acque cristalline, mari in tempesta e momenti di bonaccia nella speranza di scorgere terra in un viaggio tra onde che si frangono contro la chiglia della nave facendola scricchiolare, notti di cieli stellati, stridii di gabbiani e rendendo la sua proposta musicale minacciosa anche nel momento in cui si tocca una terra sferzata da venti drone in un paesagggio monolitico: ottimo!!! Siamo quasi in chiusura di questa lunga giornata e mancano all’appello solo Bj Nielsen; purtroppo si verificano altri problemi tecnici: un bug sembra abbia colpito il suo laptop al momento del check e dopo appena cinque minuti dall’inizio dell’esibizione, in un momento di rabbia forse un tantino eccessiva, decide di staccare tutto, lanciare la scheda audio contro il muro (sigh!!!) salvando almeno il powerbook forse troppo costoso da riacquistare!!!  e andarsene imprecando. Peccato,  perchè da come era partito si poteva intuire qualcosa di veramente interessante!!! Dopo un momento di stupore da parte di tutti, Stephen Mathieu decide di preparare il suo set fatto di Radio Fm, Laptop e con la struttura interna di un Dolmetsch  a cinque corde suonate con dei sensori piezoelettrici; artista che interpreta la sua musica con un lavoro nel campo dell’elettroacustica e del digitale astratto, il suo suono è basato sull’uso di strumenti antichi, suoni ambientali e mezzi di comunicazione obsoleti che vengono registrati e trasformati per mezzo di microfonia sperimentale e processi che coinvolgono l’analisi spettrale paragonando la sua musica alla pittura di Caspar David Friedrich. Il set è di una delicatezza e una sensibilità che ti riappacifica con il mondo intero, vive di momenti intensi e introspettivi di rara bellezza dove tutta la bravura del nostro, nel cercare il giusto equilibrio tra suoni antichi e processing digitale, trasportano il pubblico in una dimensione di “outer space” anche nei momenti più monolitici, dove il susseguirsi delle note dilatate nel tempo infinito creano un’atmosfera avvolgente e calda fatta di strati su strati di dettagli essenziali che fuoriescono dall’uso dello strumento a corde usato con sapiente e delicatissima maestria;  un’ ovazione da parte del pubblico è la giusta chiusura del live e anche di questa lunghissima giornata che, tirando le conclusioni, fa un po’ il punto dello stato dell’arte della musica elettronica ambient e la verità è che, a parte il live di Stephen Mathieu, in questo momento non si vede all’orizzonte un qualcosa che faccia ben sperare in un’evoluzione del suono, oramai quasi avvolto su se stesso… (Blow Up - Giugno 2011)

Skullflower + Werewolf Jerusalem


Kraak Gallery – Manchester 16 Aprile
Raramente serate noise-rock riescono a raggiungere un livello così alto di rapimento e di ebbrezza come quella che si è tenuta alla Kraak Gallery lo scorso 16 aprile.Sul palco una delle figure chiave della scena noise-industrial britannica: Matthew Bowen e i suoi Skullflower si presentano con una formazione prettamente rock: basso, chitarra, batteria e voce (leggi urli…).

Da subito abbiamo tutti la certezza che i rimanenti trenta minuti saranno un viaggio nella notte più oscura dove il drumming primitivo, la chitarra con i suoi feedback e la voce, un lamento che naufraga in un magma drone –noise monolitico, resteranno impressi come una delle rappresentazioni più cruente della vita quotidiana, dove la velocità di esecuzione e l’alienazione rumoristicalasciano poco spazio a immaginari diversi da quelli di ossessioni, morte e devianza. È un live-esperienza dove o prendi o lasci, non ci sono vie di mezzo, non ci sono pause o un tentativo della band di avere un qualche rapporto “umano” con gli spettatori (Matthew e la vocalist sempre di spalle); le due suite si susseguono tra inquietudini alienanti saturando l’ambiente di un suono metallico che ti fa precipitare tra le fiamme di un inferno quasi estatico, ma non c’è tempo per ripensamenti perchè nel massimo momento di catarsi sonora tutto si spegne, Matthew stacca il jack dalla chitarra e tu rimani senza parole, senza la forza di applaudire, sconcertato da questo viaggio su una locomotiva che si schianta contro un muro: "Non c'è belva tanto feroce che non abbia un briciolo di pietà. Ma io non ne ho alcuna, quindi non sono una belva."(William Shakespare). Riprendiamo possesso delle nostre facoltà mentali ed ecco apparire Richard Ramirez e la sua creatura Werewolf Jerusalem; anche qua il discorso potrebbe essere uguale con l’unica differenza che il nostro aggiunge al suo live una matrice più dark-doom con delle texture decisamente più statiche dove però l’unico brano proposto da Richard si rivela essere un collage delle svariate sfaccettaure dei suoi modi espressivi (Ramirez, l’uomo dai mille moniker: Black Leather Jesus, Last Rape, Vice Wears Black Hose, Lingula, Priest in Shit…) harsh dalle frequenze ultrabasse, frattura del suono, ondate black metal, in una sorta di necrologio finale del genere umano trasmesso alle generazioni future, il tutto utilizzando solo loop a pedali ed effetti per chitarra per dare questa sensazione di essere sotto un bombardamento, e mentre senti il fischio delle bombe che cadono…speri che la prossima non sia quella che ti colpirà…Forse l’unica critica a questa serata è la brevita dei due live (trenta minuti ciascuno) vista la sterminata produzione sia di Werewolf Jerusalem che degli Skullflower: lasciano quel gusto di incompiuto, quasi di oblio, dove non c’è una rotta da seguire, ognuno di noi abbandonato al suo destino e ai suoi incubi…Goodnight.
(Blow Up - Giugno 2011)

mercoledì 11 maggio 2011

Rhys Chatham Guitar Trio

Islington Mill – Salford – Manchester 22 Marzo
Approda nel piccolo club mancuniano uno dei padri della seconda generazione del Minimalismo Newyorkese; ovviamente l’attesa è tanta e la sala oltremodo piccola per ospitare tutti i cultori di Chatham, che per l’occasione porta sul palco la piu’ seminale delle sue composizioni:il famoso ‘Guitar Trio”, opera che tra l’altro verrà costantemente riproposta lungo tutto l'arco della sua carriera. Datato 1977 il “Guitar Trio” nacque dall’incontro tra la musica punk, Ramones in testa, da cui Chatam rimase letteralmente folgorato, e le elucubrazioni minimaliste del nostro.

La composizione non è nient’altro che una nota sola suonata, nel caso dell’esibizione mancuniana, insieme ad altri otto chitarristi, un bassista e un batterista.Bisogna dire che questa versione non è quella originale del ’77 della durata di un’ora, ma accorciata a soli otto minuti;Chatam in questa occasione ne suonerà due versioni di cui la seconda “ leggermente” revisionata, soprattutto nella parte finale dove il flusso sonoro risulterà essere di un’ intensità estatica totalizzante. C’è ancora tempo per una terza piece e Rhys decide di suonare/dirigere un brano composto dal suo caro amico Tony Conrad; il punto di partenza è sempre lo stesso, e forse questa è l’unica cosa che “tranquillizza” il folto pubblico, perchè dal momento in cui tutti i musicisti entrano con il loro strumento si viene a creare un’onda costante che fa crollare il muro tra pubblico e artista, con Chatam che scende in mezzo al pubblico e si inginocchia

rivolto ai suoi compagni d’arme quasi a ringraziare loro,per essere i veri compositori del brano, di questa serata che resterà impressa nella memoria del sottoscritto come l’ascolto dei dieci dischi più importanti degli ultimi trent’anni…in un’ora. 
(Blow Up Maggio 2011)

James Blake

Band On The Wall – Manchester  26 Marzo
Seconda tappa a Manchester (il primo live del 26 febbraio è andato sold out appena tre ore dopo la messa in vendita dei biglietti) per il talento londinese James Blake. L’esibizione è fissata per le 16.00 del sabato pomeriggio, orario inconsueto per un concerto, ma si ha comunque l’impressione che sia un momento della giornata che calzi a pennello per il giovane talento. Seduto quasi goffamente dietro le sue tastiere, accompagnato da batteria, chitarra e sampler,il nostro ripercorre il suo primo album acclamato da critica e soprattutto pubblico, accorso numeroso anche per questa seconda data mancuniana del tour promozionale.

Ibrido di dubstep sperimentale, lo-fi ed elettronica con una propensione ancora più “intima” dal vivo, mostra nei suoi testi tutta la sua vulnerabilità, la passione e la sensibilità che caratterizzano le sue composizioni,affreschi di una quotidianità semplice eppure complessa nella musica; il Band On The Wall risulterà essere la cornice ideale, grazie a un’acustica perfetta: non troppo grande in modo che i suoni non si disperdano e non troppo piccola per finire in un muro di suoni distorti.

Si possono trovare molte similitudini con i concittadini Mount Kimbie nella versione live, ma la differenza la fa la grande sensibilità e quell’atteggiamento da bambino timido che lo contraddistingue nell’esecuzione dei brani, da un suono meno elaborato e più diretto,  soprattutto nell’uso della voce che non richiede il minimo sforzo da parte di Blake ( su tutte la cover di Joni Mitchell “Case Of You” suonata al pianoforte e “I Never Learnt To Share”). C’è ancora tempo per “Limit To Your Love”.  Forse un concerto troppo corto per riuscire a “testare live” le vere capacità di James Blake, con un futuro ancora tutto da scrivere e un presente, a detta della BBC, che pone l’artista tra i migliori talenti di questo 2011!!
(Blow Up Maggio 2011)

Josh T. Pearson

The Deaf Institute – Manchester 27 Marzo
È più per curiosità audiofila (non sono un intenditore di folk americano) che mi dirigo al Deaf Institute per assistere a quello che, sulla carta, appare uno dei live più intimi e comunicativi a cui potrò assistere. Per l’occasione la sala è stipata all’inverosimile, Josh sale sul palco e subito si alza un boato tra gli astanti al rito, seguito da uno splendido coro: “ Happy Birthday to you”… è anche il giorno del suo compleanno, Josh è commosso dalla partecipazione straordinaria, e con mio enorme stupore scopro che è di una loquacità incredibile; per tutto il live, tra un brano e l’altro ci intratterrà con storielle, battute e barzellette, e ci sorprende con la prima canzone che è la cover di “Rivers of Babylon” dei Boney M!!! tra l’altro in una versione mozzafiato.

I presupposti ci sono tutti per rendere questa serata indimenticabile e così si parte con “Country Dumb”; la sala ammutolisce immediatamente, Josh chiude gli occhi e apre il suo cuore, la sua anima; l’immediata impressione è di un uomo consapevole della sua fragilità ma, allo stesso tempo, forte nel saperne parlare e metterla in mostra senza paura. Testimoniare questo live, che va oltre la classica definizione di concerto, è veramente un’esperienza indimenticabile, ed ecco come potrei definire Pearson: una forza della natura, affascinante, affabile e, sembrerà incredibile: felice!!! E il pubblico si stringe attorno a lui canzone dopo canzone, ridendo insieme per le sue battute, ma appena parte un nuovo brano la sala cade in un silenzio indescrivibile, fa propria la disperazione dei testi, lui a occhi chiusi che sussurra, urla di amori infranti, vite disperate  e fallimenti aprendo un varco nei cuori della gente che ammutolita si lascia  avvolgere da quello che noi siamo, anime che solcano un mare che si chiama vita.
 
 La conclusione è dedicata a “Devil’s on the run” piena di magia e cantata in coro dal pubblico tutto e la conferma di Josh : “I know it’s Manchester, but leave your cool at the door will yeah!; ma c’è ancora del tempo per “The Singer to the Crowd” prima dell’ultima battuta  “di lasciare la mancia al bar”; tolta la chitarra Josh scende tra il pubblico, stringe le mani, abbraccia, ascolta e parla con la gente…gli porgo la copia della rivista, la guarda, la sfoglia, accenna a leggere in italiano l’articolo a lui dedicato e mi ringrazia autografandola “ con amore”…ci lasciamo con questo piccolo grande gesto per una di quelle serate che rimarranno per sempre marchiate a fuoco nel cuore e nella mente. The Devil’s on the run, the Devil’s on the run, let’s have some fun. Grazie Josh.
 (Blow Up Maggio 2011)

Killing Joke


Academy2 – Manchester 31Marzo

Un’attesa lunga anni, questo è il primo pensiero che mi passa per la mente mentre salgo i gradini dell’Academy questa sera, finalmente di nuovo la band al gran completo con la formazione originale (eccetto Paul Raven deceduto per attacco cardiaco nel 2007)  dai tempi di “Revelations” !

Il secondo è quello della tracklist, perchè vivisezionare una carriera lunga più di tren’anni porterà, forse, a qualche piccola delusione non potendo ascoltare live almeno uno dei tanti brani che ho amato nel corso del tempo. In effetti la scaletta non presenta grandi sorprese, le aspettative vengono mantenute e Jaz, Geordie, Paul e Youth riescono a creare quell’incredibile alchimia che fa brillare, come se fossero diamanti, brani passati alla storia (Wardance, The Wait – straordinaria, The Fall Of Because) con quella rabbia che li ha contraddistinti e che li ha preservati dal passare del tempo.

La stessa cosa accade guardando Jaz, un front man che sembra non essere stato scalfito dall’incedere degli anni, con quello sguardo a occhi sbarrati che si alzano al cielo nel momento in cui parte “The Raven King” il brano dedicato non alla persona di Paul Raven, ma alla sua rabbia, alla sua idea di anarchia, che potesse esistere una confederazione di uomini simili a lui. Nella scaletta lo spazio maggiore lo prendono i brani dall’ultimo, splendido album “Absolute Dissent”, su tutti quella locomotiva sferragliante lanciata verso il baratro :“The Great Cull”; Jaz è un fautore del concetto di sostenibilità ambientale e ha investito nella creazione di due eco-villaggi nel sud del Pacifico e in Cile. La sala apprezza e canta in coro, nelle prime file “headbangers” ( c’era anche qualcuno che superava i 50!!!) si danno battaglia in un rituale che sembra non avere tempo. Ancora una volta Jaz & Co. lasciano un pubblico soddisfatto nella speranza che il tempo preservi la band allo stato attuale dove la grinta, la rabbia e l’energia dopo più di trent’anni dagli esordi sono vive più che mai… senza temere nè Dio nè padroni!!

“We’re an army, a network, a brotherhood”…  
(Blow Up Maggio 2011) 

Earth


Islington Mill – Salford – Manchester 02 Aprile
Un’autostrada nel deserto: con queste due parole si potrebbe riassumere il live degli Earth, creatura basata sul suono infinito, dilatato e atmosferico, da un uso importante dei silenzi e delle pause. La vera novità è quella di portare in tour il loro ultimo album “Angels Of Darkness…” supportati da Lori Goldston (che registrò con i Nirvana il famosissimo “MTV Unplugged” e collaborò anche con David Byrne) al violoncello, presente peraltro all’interno della registrazione. Il suono diventa immediatamente meno corposo, dando un taglio decisamente più astratto ed etereo;

il violoncello è straziante, soprattutto nella versione live della title track dell’ultimo album, l’impressione è che il viaggio a cui siamo stati chiamati a partecipare non abbia un inizio e una fine: tutto sembra immobile, statico, pronto a cadere, ma così non è… In questa soundtrack in slow motion, dove la lentezza diventa ipnosi, dilatazione sensoriale dove le note si trasformano quasi in una sostanza proibita, Dylan Carlson ci dà un’ idea, ma sta a noi trovare la strada tra suoni evaporati, dove basso e batteria creano delle cadenze atte a rallentare/fermare il corso della vita, con un violoncello magico che ci fa scivolare lungo sentieri misteriosi ben lontani dalle vibrazioni Drone-Metal dei classici degli anni ’90 “Earth” e “Pentastar”.L’impressione è che il nuovo cammino (“Angels Of Darkness…part.2” uscirà nel 2012, originariamente previsto a settembre 2011 è “slittato” per problemi con la Southern Lord, label di Sunn O))) fama) intrapreso dalla band con un suono più snello, ma sempre vibrante e notturno, apra a scenari inaspettati con dialoghi chitarra/violoncello che sembrano quasi rincorrersi in fraseggi jazz (l’influenza che hanno avuto i  Pentagle e i Fairport Convention su Dylan è riconosciuta), che nella dimensione live hanno soddisfatto appieno l’appetito dei seguaci degli Earth.  
(BLow Up Maggio 2011)

sabato 26 marzo 2011

Primal Scream

20.03.11 Apollo - Manchester

Band e artisti che suonano dal vivo album seminali, nel corso degli anni, se ne sono visti tanti (Sonic Youth, Suede, Lou Reed, Peter Hook), quasi questa pratica fosse diventata un luogo comune: a scanso di equivoci ho sempre avuto un’adorazione per Screamadelica.; lo reputo un album che ha saputo racchiudere in sè la storia, tutta, della musica degli ultimi trent’anni del 1900!! E quindi non potevano sicuramente mancare neanche Bobby Gillespie e la sua creatura Primal Scream al doppio appuntamento mancuniano per celebrare i vent’anni dell’album. La folla inizia a riempire il Manchester Apollo, ex cinema, ora uno dei templi della musica in città, con facce abbastanza grandi per apprezzare l’album e giovani che forse avevano ascoltato il disco dai loro fratelli maggiori; il warm up è  tutto incentrato sul dj set di Sua Signoria Andrew Weatherall, che nella sua semplice selezione di brani sfoggia la maestria della sua eccezionale conoscenza musicale spaziando dal punk al dub, senza soluzione di continuità, per arrivare a chiudere il suo set, proprio mentre i nostri sono pronti a fianco del palco, con PIL e Simple Mind: chapeau!!! Ma ecco finalmente si spengono le luci e subito il logo di Screamadelica compare sullo sfondo: uno ad uno tutti i membri arrivano sul palco, per ultimo Bobby in un completo nero con camicia rossa fuoco che fa molto 60’s, in evidente stato di agitazione psicomotoria. Subito parte “Movin’ On Up” e ti rendi conto di quanto sia un’occasione unica ascoltare questi brani, che in qualche modo ho accantonato negli anni, in versione live.

L’avventura acida di “Don’t Fight It Feel IT”, con quella linea di basso che quasi ti blocca la respirazione, “Higher Than The Sun “ (Pt1&2) eseguita in tutto il suo splendore dub, la gente balla salta urla, è una catarsi da cui è difficile uscir fuori, sono i dodici minuti più lunghi del live, una suite interminabile che sfocia in un finale psichedelico di fiati, chitarre ed effetti; il rimescolamento della tracklist rispetto all’album è stata studiata  proprio per il gran finale. Oltre ad essere i brani più lunghi come minutaggio, sono anche quelli che preparano a un' esplosione di luci, colori, emozioni che ti fanno pensare a quanto sei fortunato nel poter assistere a questo evento. Come se non bastasse parte in loop il dialogo di Peter Fonda “Just what is it that you want to do? We wanna be free. We wanna be free to do what we wanna do. And we wanna get loaded.” “Loaded” con il suo tripudio di trombe e cori gospel; oramai l’audience e i Primal si fondono in una cosa sola, lo vedi negl’occhi della gente, nell’oscillare di mani e nell’ondeggiare di un pubblico che vorrebbe questo sogno non finisse mai; ma c’è ancora tempo per quella che a tutti gli effetti è la traccia che sancisce l’unione tra Bobby e la platea: “Come Togheter” arriva a chiudere questa notte di celebrazione con il pubblico, tutto, che canta “Come Togheter As One” , di un album che suona fresco, innovativo e avventuroso come sempre lo è stato in questi 20 anni. Mi raccomando: se passano dalle vostre parti non fateveli scappare!
“Come Togheter As One”

giovedì 24 marzo 2011

A Taste Of Sonar

19.03.11 Roundhouse - London

Per il terzo anno consecutivo Il Sonar torna a Londra nella prestigiosa location di Chalk Farm Road per quella che è considerata la premiere del Festival che si terrà a Barcellona il 16/17/18 Giugno prossimo. La line up che comprendeva nove artisti suddivisi in due stage, vedeva alternarsi nel Red Bull Space Braiden 

(London-Uk) con un set non entusiasmante, forse dovuto alla quasi totale assenza di pubblico, dove tra linguaggi house  e bassi dubstep con una sofisticata tecnica di mixin’ riesce comunque a creare un amalgama mai scontato. Giusto il tempo di spostarsi nel main stage dove prende posizione  
Noiapre (Galicia-Spain), anche lui penalizzato da una sala praticamente deserta,  che snocciola i suoi potenti beat tra grime e hip-hop. Subito dopo è la volta di  Dels,

viene definito il nuovo talento del British Hip-Hop, che si esibisce in un live di una tristezza a dir poco imbarazzante, dove tra un Dizzee Rascal che incontra una Bjork di “Vespertine” fama,  la sensazione è di un melting-pot non riuscito (ero vicino al mixer e devo dire che io e il tecnico ci guardavamo sbigottiti di fronte a siffatte nefandezze…). Giusto il tempo di riprendere fiato nell’altra sala per ascoltare e apprezzare il live di  

Tiger & Woods (Italia) tra digressioni House, Italo Disco, e Cosmic – apprezzati anche dal pubblico che incominciava ad assiepare lo stage “minore”, ed eccoci di nuovo nella sala “grande”per lo show di  


Buraka Som Sistema (Portogallo), occasione per me di vederli finalmente con la band al completo; il loro è un progetto live completamenete nuovo, virato per il dancefloor. Il combo non ci mette molto a creare il giusto mood e sembra quasi che nulla divida il palco dalla gente sotto, che ora è veramente tanta!!! La tracklist è quasi interamente dedicata al nuovo album che deve ancora uscire con, in aggiunta, un’ eccellente versione di “Buffalo Stance” di Neneh Cherry dando al pubblico uno spettacolo ad alta tensione. Purtroppo non riesco a seguire (giusto dieci minuti, pochi per dare un giudizio) il set di  
 
Benji B (London-Uk), già titolare di un programma radiofonico sulla prestigiosa BBC1 tra Hip-Hop, dubstep e Broken Beats e il tempo della seconda guest star nel main stage :The Gaslamp Killer
 (Los Angeles-USA); ibrido tra live e dj set, Benjamin Bensusses mette insieme uno dei live piu’ iconoclasti e rivoluzionari cui mi sia capitato di assistere, quasi sopraffatto dai suoni e dalle urla del nostro in una vertigine allucinatoria. Siamo quasi in chiusura di serata ma c’è ancora il tempo e la voglia di sentire quello che a detta di tutti è “the godfather of the Uk garage”,  Mister Mj Cole 

con un dj set dove ha mostrato tutte le gemme del funky made in Uk riuscendo a far muovere qualche centinaio di persone in uno spazio diventato decisamente invivibile sia per il caldo asfissiante che per la quantità di bicchieri di plastica e birra sul pavimento, quasi a rischio rottura del menisco. Concludendo credo che il Sonar oramai dopo tanti anni non abbia assolutamente il bisogno di attirare pubblico facendo questi mini festival che non lasciano nella mente un ricordo indelebile, la verità è che, soprattutto per alcuni artisti presenti (leggi Tiger&Wood e MJ Cole), avere un’ora a disposizione è veramente frustrante visto che in 60 minuti devono giocarsi la carta della credibilità , e di questi tempi dove tutto corre veloce, non è assolutamente facile.

domenica 13 marzo 2011

Oval (Markus Popp)+ Alexander Tucker’s Imbogodom


15.01.11 - Islington Mill – Salford – Manchester
Doppio appuntamento quello dell’Islington Mill che mette in fila due figure importanti della scena elettronica; ad aprire la serata Alexander Tucker con il suo side project Imbogodom curato insieme al misconosciuto sound artist Neo Zelandese Daniel Beban, che per l’occasione non sarà sul palco con il nostro. L’occasione è ghiotta per sentire come suona dal vivo il loro album di debutto The Metallic Year, uscito in sole 500 copie vinilitiche per la Thrill Jockey. Subito dalle prime note si capisce come ci sia poco spazio per i 40 minuti successivi trovare una via di fuga alla trance indotta da una ambient di origine psicotropa, rumorismi e smanettamenti elettronici che con l’aggiunta della voce di Tucker e altre parti vocali, in alcuni casi mandate in reverse, creano litanie alienanti, drammatici istanti di suspense sciamanica. La bravura di Alexander, benchè privo della spalla Daniel, sta nel riuscire a creare una suite unica senza soluzione di continuità tra un brano e l’altro, suoni notturni ispirati dagli esperimenti a nastro della BBC Radiophonics Workshop. Anche dal vivo, quindi, il progetto non delude affatto, anzi rafforza ancora di più l’idea di  Alexander Tucker-Ingobodom come un compositore che continua nella tradizione di pionieri sonici quali Terry Reley e Steve Reich per portare nuovi suoni da vecchie fonti.

L’atmosfera cambia radicalmente quando sul palco si presenta Marcus Popp, aka Oval (anche lui della scuderia Thrill Jockey). Personalmente devo dire che la curiosità è tanta vista anche la mancata presenza di Oval dal circuito discografico per ben dieci lunghissimi anni e l’uscita di “O”, doppio cd con ben 70 tracce mi spinge a chiedermi come riuscirà a trasportare nella dimensione live quelle piccole miniature che compongono il ritorno su formato fisico dell’artista berlinese. Considerati I pionieri della glitch music ,il progetto è attivo dal 1993 prima come trio poi, dal 1995, nelle sole mani di Markus Popp, che fanno dell’ “errore digitale” il punto di partenza per le proprie composizioni destrutturate. Presenza assai importante nel corso del live è il suono della chitarra che nella prima parte riporta a paesaggi lontani in odore di Sol Levante con l’aggiunta di una parte percussiva, non indifferente, per dare volume alla manomissione del suono attraverso l’utilizzo di un “vecchio laptop” (uno di quelli economici, ha confessato Markus avvicinato alla fine del set), chitarra preparata e theremin. L’impressione generale è che comunque anche da solo Oval riesca a dare una vera e propria esperienza di “gruppo musicale”.  Benchè il live sia composto da piccole strutture che creano dei micro luoghi temporanei delicatamente collegati tra loro da interferenze mai buttate lì a caso, il flusso sonoro vibrante e timido, ma allo stesso tempo brutale nella sua semplicità d’animo, ha dalla sua delle strutture di suono estremamente complesse che richiedono un’ attenzione pienamente condivisa dal nutrito pubblico che è accorso per questa serata.Il live si chiude con un voto pieno e fa del ritorno di Markus Popp un appuntamento lungamente atteso, nella speranza che non trascorrano altri dieci anni visto che Oval è riuscito a sviluppare un nuovo metodo di fare musica quasi fosse una band a tutti gli effetti.Meta-music for the soul.
(Blow Up - Marzo '11)

Dieter Moebius


07.11.10 - Islington Mill-Salford - Manchester
L’occasione è veramente ghiotta, vedere live una delle colonne portanti della scena Kraut-Rock di questi ultimi 40 anni, fondatore dei Cluster e Harmonia, collaboratore di Brian Eno e Conny Plank, Dieter Moebius porta sul palco dell’ Islington Mill di Salford (Manchester) il meglio della sua produzione solista.
Attraverso un suono mai banale e soprattutto non rinchiuso in un ambient isolazionista, Moebius ci fa ripercorrere a ritroso quello che di fatto ha influenzato nel corso di questi anni una moltitudine di artisti elettronici odierni.

Minimalista nell’approccio ma massimalista nell’esecuzione, Moebius sviluppa il disagio malato e la sofisticazione atmosferica evocando un safari sonico quanto mai bizzarro nell’affrontare quelli che sono i paesaggi in un ipotetico viaggio verso l’oriente:  si va dalle atmosfere arabeggianti fino a spingerci sulle spiagge di Goa attraverso un trip che non è solo mentale ma anche fisico, fino a  far ballare il parterre che si lascia trasportare comodamente nella sua agitazione.
I suoni sintetizzati che ricordano vagamente Vangelis sono la vera forza della performance e la chiave del suo successo, fino a spremere il ritmo in un crescendo appassionante e disorientante .
In definitiva Moebius non soffre come molti altri artisti ambient di eccessiva boria; molto spesso, infatti, c’è il rischio di trovarsi di fronte a suoni “sperimentali” troppo simili che sono il risultato dell’artista rinchiuso nel proprio studio di registrazione a giocherellare con il suono: questo fa sì che la musica venga creata nel suo ambiente accogliente, ermeticamente chiusa. Moebius, invece, riesce ad evitare questa trappola e il live alla fine risplende di vivacità e freschezza.
E’ incoraggiante sapere che esista ancora un tecnico sonico di questa caratura e scoprire che la sua musica non è invecchiata ma anzi sicuramente progredita nel corso del tempo: questa potrebbe essere un’ ulteriore lezione per i giovani producers in corso d’opera.
More Info: http://www.dietermoebius.de/
(musicusconcentus.com - Dicembre '11)