venerdì 13 gennaio 2012

Plastikman Live 1.5


Academy 1 – Manchester 1 Dicembre
Su Mr Hawtin si sono scritti fiumi di parole, nel bene o nel male resta una delle figure centrali della seconda ondata Techno, ancora di più quando si parla del suo alias più famoso: Plastikman.

Approda alla Manchester Academy questo tour mondiale chiamato “Live 1.5”, evoluzione del precedente 1.0 che ha debuttato nel 2010; quello che cambia in questa seconda versione sono degli ”accessori”, concedetemi il termine, che permettono al pubblico di interagire direttamente sul palco con Hawtin, attraverso una chat e una telecamera fissata  nella gabbia tramite App per IPhone; i vari controller sono stati aggiornati per il software IPad per interfacciarsi con Ableton,  con i controlli di modulazione e i vari riverberi e delays.

Fatta questa premessa puramente tecnica passiamo al live, che fin dall’inizio con “Ask Yourself”, la voce filtrata di Hawtin a farla da padrona su bassi potenti che fanno sobbalzare il cuore, offre  subito l’idea di un viaggio nei meandri più nascosti e oscuri della nostra mente enfatizzando quel senso di disagio che pervade le nostre vite; un unico blocco sonoro psichedelico lontano anni luce dal dancefloor. Dilatando la materia sonora quasi all’infinito con il supporto dei visual che fanno da legante, Plastikman riesce a far fluire il tutto in maniera talmente perfetta, aggiungo io quasi maniacale , che non ci si accorge neanche del tempo che scorre: ecco la bravura di Hawtin, questo senso di straniamento dalla realtà, un quasi annientamento delle cellule cerebrali: “Ping Pong e Kriket” aggiungono spasmi claustrofobici, “Panikattack e Helicopter” evidenziano la natura ipnotica di Hawtin, mentre “Slak” rilascia un mood fluido come terapia agli spasmi nevrotici. Uno scenario quasi spettrale è confermato invece da “Substance Abuse” e nel finale da “Mind in Rewind”.

Non esiste il minimo errore, Mr. Hawtin da dietro la gabbia di luci controlla qualsiasi cosa, anche i video sono nelle sue mani , la vera novità di questo live1.5; ogni tanto permette anche a noi che non abbiamo l’ IPhone di poter vedere quel suo ciuffo biondo che “batte” il tempo: questo è il futuro, forse neanche tanto lontano, che si prefigura Plastikman, un’alienazione totale, una quasi mancanza di contatto tra esseri umani se non attraverso gli schermi degli smartphone di ultima generazione; forse ha ragione lui, dobbiamo fare i conti con queste alienazioni: che l’unico spiraglio di umanità siano rimaste le macchine che ci permettono di interagire con quello che resta della razza “umana”?...

(Blow Up - Gennaio 2012)

The Fields + Walls


The Deaf Institute – Manchester 21 Novembre
Il mio interesse per questa serata era particolarmente mirato al live dei Walls; quando ho scoperto che erano “solo” il gruppo di spalla sono rimasto un po’ deluso visto che “Coracle”, il secondo album del duo Anglo-Italiano basato a Londra, negli ultimi tempi aveva girato parecchio sul mio lettore. Riuscire a condensare in poco meno di un’ ora così tante influenze e immaginari sonori senza cadere nel banale non è facile, ma i Walls riescono benissimo nel loro intento partendo dal krautrock (Cluster e Popul Vuh su tutti) e, attraverso un uso sapiente di elettronica e campionatori, sono in grado di abbracciare sia i fans della Kompact Records che gli ascoltatori di musica da ballo senza mai dimenticare quelle lande invernali silenziose e malinconiche, mormorii drone con una chitarra-sinth sempre presente.

Il duo “sguazza” in modo astuto in esercitazioni mai banali o semplicistiche di idee del passato con ritmi scoppiettanti uptempo, mai fuori luogo, per poi svanire improvvisamente nel quasi-silenzio. Una prova egregia, visto l’hype generato da tante riviste di settore e dal fatto che i Walls sono stati chiamati a ottobre ad aprire i live dei Battles nel tour americano, incantati dal gioco di confine dei generi musicali che riescono a dissolversi in incipit techno di rara sensibilità estetica. Pochi minuti di pausa per preparare lo stage al guest della serata, lo svedese Alex Willner aka The Field, anche lui di casa Kompact Records; il suo album di debutto”From Here We Go Sublime” del 2007 è balzato agli onori della cronaca come  disco più acclamato dell’anno secondo Metacritic,  incluso nella Top100 di Pitchfork degli anni 2000! Giocando sapientemente sull’idea del loop reiterato quasi all’infinito, caratteristica della musica dance necessaria per tenere il ritmo, dal vivo si presenta accompagnato da un batterista e un bassista. Ogni minima sfumatura di suono viene sovrapposta combinando una vera e propria evoluzione sonora con l’utilizzo di “campioni” vocali che dilatano ancora di più l’immaginario paesaggistico astrale, creando uno stato di trance attraverso la ripetizione dei più semplici elementi, dilatando lo spazio e il tempo all’infinito, producendo una tensione spastica che solo il sapiente utilizzo dei loop vocali riescono a smorzare. Nulla si muove ma tutto cambia in quest’ora abbondante di live, anche se alla fine il buon Alex eccede un po’ troppo con l’utilizzo di questo trucco, creando l’unico punto debole di un artista che lavora molto più con la testa che con il cuore.
(Blow Up - Gennaio 2012)

sabato 10 dicembre 2011

Agnes Obel


Ruby Lounge – Manchester 09 Novembre
Torna a fare tappa a Manchester, per la seconda volta in sei mesi, il tour di Agnes Obel, giovane cantautrice Danese di base a Berlino che con il suo album  di debutto “Philarmonics” ha ottenuto consensi in ogni angolo d’Europa, conquistando anche due dischi di platino nella sua terra d’origine. Non  siamo però qui a scrivere la sua biografia e i suoi successi di critica e pubblico, a ben vedere del tutto giusti data  la pochezza “vinilitica” in circolazione sul mercato in questi anni. La performance, purtroppo, si discosta leggermente dal disco nella dimensione live;

ok  il candore della nostra, accompagnata sul palco da una violoncellista e da un’arpista che contribuiscono anche alla voce evocando un paesaggio sonoro in cui il silenzio e lo spazio giocano con le luci del crepuscolo, ma alle volte tutto questo non basta: l’impressione è quella di un compito svolto bene, disturbato da qualche buontempone che invece di ascoltare chiacchiera animatamente con il suo amico (ebbene sì, ogni tanto succede anche qui in UK che qualcuno infastidisca durante i live, se pur molto raramente) tanto da essere invitato dalla Obel a lasciare la sala se non si zittiva… Andando oltre lo spiacevole accaduto, mi sembra di riscontrare un certo distacco dal suo pubblico; i brani dell’album vengono snocciolati ad uno ad uno, senza grandi arrangiamenti.

C’è sicuramente una maestria da parte del trio sotto il profilo tecnico: l’atmosfera evocativa della voce (vedi Tori Amos ed echi di Joanna Newsom) e l’utilizzo “minimale” del pianoforte; l’impronta di Eric Satie è la cosa che balza subito all’orecchio, però è la presenza scenica che manca, quella voglia di comunicare “oltre la musica” che rende l’artista “uno di noi”, quel di più che serve ad abbattere la barriera pubblico-platea. Questo è l’unico aspetto negativo del live della Obel, in qualche modo specchio anche della copertina del suo album di debutto dove lei appare come un maestro severo di una scuola religiosa uscita da un film di Ingmar Bergman.Restiamo in attesa del nuovo album che, dalle parole dell’artista, sembra più improntato verso un suono strumentale, visto che come lei stessa ammette le è più difficile scrivere i testi.
(Mauro Cullati)

Baby Dee


Anthony Burgess Foundation – Manchester 01 Novembre
Cantante, performer e polistrumentista: si potrebbe continuare a lungo con gli aggettivi per descrivere Baby Dee. Transgender istrionica, si presenta sul palco della Burgess Foundation avvolta in una giacca di finto pelo fucsia e anche se l’abito non fa il monaco, il look mette in evidenza il suo carattere forte, da vero “animale da palcoscenico”.

Siamo in pochi, troppo pochi, ma forse è anche un bene: nell’atmosfera raccolta di questa piccola e intima sala, il contatto diretto con la chansonniere di Cleveland, sin dall’apertura con “Brother Slug And Sister Snail”, apre squarci nell’anima; segue “On The Day I Died”, un brano  con la presenza costante della morte ma anche del suo background di artista di strada e di organista per la Chiesa della sua città natale, con un utilizzo della voce unico nel suo genere, esaltata ed accompagnata al trombone da Doug Tielli, musicista canadese che ha aperto la serata con un live di “bedroom songs” tenere e avvolgenti; benchè sia stata molte, troppe volte accostata ad Anthony Hegarty,  qui siamo su un  gradino superiore dove la tristezza e la gioia si mescolano in un crescendo misto di ironia e rabbia ben rappresentato in “Pie Song”,  con un finale quasi rock e i suoi guizzi vocali a dimostrare come possa, attraverso un sapiente uso del solo pianoforte, riuscire a mettere al nostro servizio la sua personalità debordante ma mai invadente. Parla di amori infranti e amori ri-trovati, la voce come un raggio di luce che attraversa la tempesta. Questo è il suo-nostro mondo, quel senso di tenerezza e fragilità umana in cui sono immerse le nostre vite ma anche di voglia di redenzione, di rabbia mai sopita nei confronti di un’esistenza difficile a farsi accettare.

E poi di nuovo l’amore in “Morning Holds A Star”( No more sad songs/ no more/no more night skies/I’ ve got a sunrise/a sunrise/a sunrise/I’ve got a sunrise…), in “Lilacs”, gli amici ritrovati e la speranza di non perderli mai più. Siamo già ai bis (ma se il live sembra appena iniziato??) con “ The Dance Of Diminishing Possibilities”, la bluesy “Fresh Out Of Candle”  e “ Safe Inside The Day” (la stavo aspettando sin dall’inizio!!) che suggellano il legame con quest’ artista che attraverso il suo cantare-parlare, in tutta la sua drammaturgia, riesce a farci sentire una piccola famiglia senza mai dimenticare quanto sia importante, alla fine, saper trovare il lato positivo di tutte le cose e di quanto sia importante cercare nella vita, attraverso le più disparate esperienze, sognare un futuro migliore. Nota a margine: per chi volesse conoscere la poesia di Baby Dee, è appena uscito su Tin Angel Records il doppio live registrato al “The Bimhuis”,prestigioso Club jazz di Amsterdam.
 (Blow Up - Dicembre '11)

giovedì 10 novembre 2011

Plaid


Sound Control – Manchester, 4 Ottobre
Approda per il Tour promozionale del loro ultimo lavoro “Scintilli”, uscito su Warp il 27 Settembre, il duo Londinese dei Plaid assente dal 2003 con un cd di nuove tracce  (se si escludono le due colonne sonore per “Tekkon Kinkreet” e “ Heaven’s Door” del regista Michaels Aria e “Greedy Baby”, che era stata un’audio/visual collaborazione) .Davvero un’ottima opportunità, quindi, vederli all’opera sul palco del Sound Control.

L’impatto è subito positivo, i brani si lasciano cogliere senza troppe difficoltà e benchè non manchino gli arrangiamenti presenti su supporto fisico, Andy e Ed riescono a costruire un soundscape tra Ambient, Techno, echi Drum ‘n’ Bass e una dose importante di suoni dal mondo, il gamelan su tutti, dando un senso di compostezza alla ritmica irregolare che è sempre stato il segno distintivo del duo. Non mancano momenti, soprattutto nella parte centrale del live, in cui la mente torna indietro nel tempo a quando i due militavano nella premiata ditta “The Black Dog” con quel sapiente uso del beat che ancora oggi fa pensare all’ IDM di miglior caratura, con momenti di dolcezza infinita e repentini cambi d’umore, deragliamenti break beat e pulsioni techno, riuscendo sempre a suonare attuali a differenza di altri producer inglesi che finiscono per risultare datati. Unica pecca di un live che, a conti fatti, strappa ovazioni dal pubblico, è la parte video: le immagini sono infatti quasi totalmente “coperte” dalla postazione del duo, un vero peccato data la loro elevata qualità che avrebbe completato e appagato visivamente il viaggio sonoro.
(Blow Up - Novembre '11)

Cindytalk


Blah Blah – Torino, 23 Settembre
La creatura di Gordon Sharp, nel bene e nel male, ha saputo resistere per oltre 30 anni nel vasto panorama Goth-Dark che, a più riprese, si è ripresentato sotto mille forme e manifestazioni. Cindytalk, nel corso di tutti questi anni, non è mai stata di seminale importanza (tralasciando “Camouflage Heart” e “The Crackle Of My Soul” a modesto parere di chi scrive) ma con la sua figura carismatica e camaleontica ha catalizzato l’attenzione sul palco del Blah Blah all’interno della rassegna “Il  Sacro attraverso il Profano”. Il live poco aggiunge musicalmente all’enorme quantità di artisti che solcano mari tra onde sinusoidali,  field recording e “concretismi” vari,  ma la vera differenza la fa lui/lei sola sul palco a combattere contro i fantasmi dell’anima, dell’essere e sentirsi al limite estremo di un mondo che, attraverso luoghi comuni, sempre meno accetta differenze, il tutto attraverso una poesia “dannata” che è alla base della ricerca di questi ultimi anni da parte di Gordon Sharp. È questa l’impressione che si ha assistendo al live in cui, attraverso una deriva drone con onde di suono che si infrangono sulla  voce di Gordon, si prova un senso di spaesamento e di non luogo, un mondo alla deriva da se stesso dove non c’è ombra di speranza e redenzione da peccati che, forse, non si sono mai commessi. La liricità e la figura carismatica di Gordon Sharp fanno il resto, tra voci di bambini, screzi industrial e atmosfere claustrofobiche che si scontrano con la voce-sussurro di Sharp, di una profondità indefinibile: ci lasciamo trascinare senza meta e senza controllo fino alla genesi di questo live/evento con un immenso occhio che, proiettato sullo schermo, ci scruta senza battere ciglio, immobile, con Gordon che si volta e si inchina aprendo le braccia e concedendosi al giudizio di qualcosa di più grande di questa miserabile vita…
 I brani inseriti nel live fanno parte dell’ultimo lavoro di Cindytalk “Hold Everything Dear” uscito per la Edition Mego; l’album inoltre è dedicato a Matt Kinnison,  amico di lunga data e collaboratore di Gordon Sharp.
(Blow Up - Novembre '11)

lunedì 10 ottobre 2011

FON – Full Of Noise Festival


Barrow-in-Furness - Cumbria 05/06 Agosto
Durante il periodo estivo l’Inghilterra diventa terra di festivals, alcuni di essi a dire la verità sono più dei grandiosi luna park dove tutto attira l’attenzione tranne che la musica. È per questo motivo che dirigo il mio sguardo in questo paese all’estrema periferia nella regione della Cumbria, dove immerso in un’atmosfera molto “familiare” riesco a ritrovare quel calore e quella passione che non finiscono alla conclusione dell’act degli artisti. Ma andiamo con ordine: nella serata del venerdì presso il Bluebird, pub che sembra uscito da un film di Ken Loach, con tanto di odore di birra versata sulla moquette, arrivo giusto in tempo per l’esibizione di Anchorsong aka Masaaki Yoshida, giapponese di base a Londra dal 2004, che con l’uso di una tastiera e di un sampler (MPS2500) riesce, attraverso la sua vibrante energia, a regalarci un set dove lo scontro tra Hip-Hop, Elettronica e Nu Jazz si integrano con il beat catalizzando l’attenzione di un pubblico fino a questo punto un po’ distratto. Subito dopo è la volta di Dopplereffekt, motivo della mia venuta al FON; 

Gerald Donald e Michaela To Nhan Le Thi, completamente vestiti di nero e con maschera sul volto, conducono un set dove l’aspetto umano viene completamente messo da parte, l’ossessione per la ricerca scientifica ben rappresentata anche dai visual, creano un’ atmosfera glaciale ancora più marcata dall’assenza di comunicatività del duo che attraverso un suono che può ricordare a tratti la scuola kraut-rock, Kraftwerk in primis, riesce a distaccarsi da facili paragoni in virtù della predilezione per un aspetto più free-form con delle virate ambient che riportano il tutto a un aspetto più umano e “terrestre”. Se ci fosse bisogno di dare un voto all’esibizione questo sarebbe più che positivo, avvalorato ancora di più dal fatto che il progetto sembra abbia deciso di concedersi di più al suo pubblico, visto che sono in programma altre apparizioni in giro per l’Europa. Qualche minuto di pausa e la serata prende una svolta decisamente più dance con le esibizioni di Boxcutter aka Barry Lynn  e Lone aka Matt Cutler, che attraverso un sapiente uso di beat  riescono a creare un’ambient calda e piacevole riportandoci indietro agli anni 90 tra breakbeat techno e gradevoli ricordi in 808 State style. Il secondo giorno ci concediamo il pomeriggio a spasso per il Barrow Park tra installazioni sonore, un campo da minigolf dove a ogni buca corrisponde un suono creando così un piacevole caos tra i piccoli avventori, un Open Source SwanPedalo su cui sono montati un giradischi e un’antenna radio che, navigando sul lago artificiale, trasmette nell’etere una colonna sonora; il progetto è già stato utilizzato a Leeds e Liverpool per dei reading di poesie e un concerto acustico!! Nella serata ci spostiamo alla St John’s Church, ubicata nei docks e circondata da capannoni giganteschi dove vengono costruiti i sommergibili per la flotta navale di Sua Maestà la Regina, per assistere al tributo che AGF, Philip Jeck, Tetsuo Kogawa, Tom Scott e Lee Gamble renderanno alla città di Barrow, visto che gli organizzatori hanno chiesto agli artisti invitati di trasporre in musica la loro esperienza in città.

Si parte subito con un’ispirata AGF che con l’aiuto di quattro coriste prima e tre bambini poi , tra cui sua figlia, lascia poco spazio all’elettronica e dedica quattro suites al vento e al mare, attraverso il suono emesso soffiando dentro i microfoni, poi riprocessato sul finale della performance creando un effetto estatico di rara delicatezza. E’ poi la volta di Tom Scott,  giovane compositore locale che con un sottile gioco di forme astratte, tra silenzi e incursioni in territori drone, riesce a descrivere bene le contraddizioni della cittadina immersa nella verdissima Cumbria ma che si affaccia su una realtà fatta di acciaio e sudore. Un piccola pausa nel vicino circolo over 60’s per una birra locale e quattro chiacchiere con gli organizzatori e poi è la volta di Lee Gamble con una suite brevissima; destrutturando e usando i detriti del suono l’artista non convince più di tanto, forse anche lui se ne è accorto visto che alla fine del set se ne va senza lasciare traccia. Subito dopo è la volta di Philip Jeck,


artista che nel corso degli anni è sempre riuscito ad evolvere la sua ricerca senza mai porre un limite alla destrutturazione e ricomposizione del suono; in questo caso omaggia il festival di un live che parte da lontano: con l’utilizzo delle immagini e dei video che lui stesso ha registrato raggiungendo in treno Barrow proiettati sul soffitto della Chiesa nonché dei suoni, cui si aggiungono quelli di due vinili acquistati in un Charity Shop della città (immancabili sul tavolo due turntables) ha dato vita a una performance particolarmente ispirata di rara delicatezza e malinconia, ben supportata anche dall’utilizzo del basso che con  la sovrapposizione dei vari effetti sonori crea un sussurro melodico, strappando un’ovazione al pubblico in sala. Siamo in chiusura e, dopo una seconda pausa al pub, ci apprestiamo a seguire il live-performance dell’artista giapponese Tetsuo Kogawa: sua la campagna di liberalizzazione dell’Fm nella terra del Sol Levante che ha leggi molto restrittive in merito.


Attraverso l’utilizzo di due radio a transistor e di due microfoni costruiti on-site con cd e filo di rame alimentati da due batterie,  ha creato un soundscape fatto di screzi e frequenze mai fastidiose ma che hanno reso l’idea di libera trasmissione con tecniche casalinghe, che sono state anche la base delle radio pirata negli 80’s; più un manifesto di open source che un live vero e proprio, ha catalizzato l’attenzione del pubblico sul dopo performance con l’artista che spiegava la tecnica e l’idea alla base del suo progetto.  Come detto in apertura di articolo, un Festival che ha permesso di portare a tutti la conoscenza di suoni “altri” attraverso un approccio mai intellettualmente inavvicinabile, vedi I workshop con i bambini delle scuole elementari, ma con la voglia di fare incontrare persone con una colonna sonora di ottima qualità. Un grazie per la calorosa accoglienza a John Hall, curatore dell’evento.
(Blow Up - Ottobre '11)