sabato 10 dicembre 2011

Agnes Obel


Ruby Lounge – Manchester 09 Novembre
Torna a fare tappa a Manchester, per la seconda volta in sei mesi, il tour di Agnes Obel, giovane cantautrice Danese di base a Berlino che con il suo album  di debutto “Philarmonics” ha ottenuto consensi in ogni angolo d’Europa, conquistando anche due dischi di platino nella sua terra d’origine. Non  siamo però qui a scrivere la sua biografia e i suoi successi di critica e pubblico, a ben vedere del tutto giusti data  la pochezza “vinilitica” in circolazione sul mercato in questi anni. La performance, purtroppo, si discosta leggermente dal disco nella dimensione live;

ok  il candore della nostra, accompagnata sul palco da una violoncellista e da un’arpista che contribuiscono anche alla voce evocando un paesaggio sonoro in cui il silenzio e lo spazio giocano con le luci del crepuscolo, ma alle volte tutto questo non basta: l’impressione è quella di un compito svolto bene, disturbato da qualche buontempone che invece di ascoltare chiacchiera animatamente con il suo amico (ebbene sì, ogni tanto succede anche qui in UK che qualcuno infastidisca durante i live, se pur molto raramente) tanto da essere invitato dalla Obel a lasciare la sala se non si zittiva… Andando oltre lo spiacevole accaduto, mi sembra di riscontrare un certo distacco dal suo pubblico; i brani dell’album vengono snocciolati ad uno ad uno, senza grandi arrangiamenti.

C’è sicuramente una maestria da parte del trio sotto il profilo tecnico: l’atmosfera evocativa della voce (vedi Tori Amos ed echi di Joanna Newsom) e l’utilizzo “minimale” del pianoforte; l’impronta di Eric Satie è la cosa che balza subito all’orecchio, però è la presenza scenica che manca, quella voglia di comunicare “oltre la musica” che rende l’artista “uno di noi”, quel di più che serve ad abbattere la barriera pubblico-platea. Questo è l’unico aspetto negativo del live della Obel, in qualche modo specchio anche della copertina del suo album di debutto dove lei appare come un maestro severo di una scuola religiosa uscita da un film di Ingmar Bergman.Restiamo in attesa del nuovo album che, dalle parole dell’artista, sembra più improntato verso un suono strumentale, visto che come lei stessa ammette le è più difficile scrivere i testi.
(Mauro Cullati)

Baby Dee


Anthony Burgess Foundation – Manchester 01 Novembre
Cantante, performer e polistrumentista: si potrebbe continuare a lungo con gli aggettivi per descrivere Baby Dee. Transgender istrionica, si presenta sul palco della Burgess Foundation avvolta in una giacca di finto pelo fucsia e anche se l’abito non fa il monaco, il look mette in evidenza il suo carattere forte, da vero “animale da palcoscenico”.

Siamo in pochi, troppo pochi, ma forse è anche un bene: nell’atmosfera raccolta di questa piccola e intima sala, il contatto diretto con la chansonniere di Cleveland, sin dall’apertura con “Brother Slug And Sister Snail”, apre squarci nell’anima; segue “On The Day I Died”, un brano  con la presenza costante della morte ma anche del suo background di artista di strada e di organista per la Chiesa della sua città natale, con un utilizzo della voce unico nel suo genere, esaltata ed accompagnata al trombone da Doug Tielli, musicista canadese che ha aperto la serata con un live di “bedroom songs” tenere e avvolgenti; benchè sia stata molte, troppe volte accostata ad Anthony Hegarty,  qui siamo su un  gradino superiore dove la tristezza e la gioia si mescolano in un crescendo misto di ironia e rabbia ben rappresentato in “Pie Song”,  con un finale quasi rock e i suoi guizzi vocali a dimostrare come possa, attraverso un sapiente uso del solo pianoforte, riuscire a mettere al nostro servizio la sua personalità debordante ma mai invadente. Parla di amori infranti e amori ri-trovati, la voce come un raggio di luce che attraversa la tempesta. Questo è il suo-nostro mondo, quel senso di tenerezza e fragilità umana in cui sono immerse le nostre vite ma anche di voglia di redenzione, di rabbia mai sopita nei confronti di un’esistenza difficile a farsi accettare.

E poi di nuovo l’amore in “Morning Holds A Star”( No more sad songs/ no more/no more night skies/I’ ve got a sunrise/a sunrise/a sunrise/I’ve got a sunrise…), in “Lilacs”, gli amici ritrovati e la speranza di non perderli mai più. Siamo già ai bis (ma se il live sembra appena iniziato??) con “ The Dance Of Diminishing Possibilities”, la bluesy “Fresh Out Of Candle”  e “ Safe Inside The Day” (la stavo aspettando sin dall’inizio!!) che suggellano il legame con quest’ artista che attraverso il suo cantare-parlare, in tutta la sua drammaturgia, riesce a farci sentire una piccola famiglia senza mai dimenticare quanto sia importante, alla fine, saper trovare il lato positivo di tutte le cose e di quanto sia importante cercare nella vita, attraverso le più disparate esperienze, sognare un futuro migliore. Nota a margine: per chi volesse conoscere la poesia di Baby Dee, è appena uscito su Tin Angel Records il doppio live registrato al “The Bimhuis”,prestigioso Club jazz di Amsterdam.
 (Blow Up - Dicembre '11)